ANNO 14 n° 118
Giovedì web, Intervista a Tomassini del gruppo Vetrya
>>>> di Samuele Coco <<<<
25/12/2014 - 00:33

di Samuele Coco

VITERBO - Cercare di spiegare il presente non è facile, figuriamoci tentare di farlo con il futuro. Eppure, nonostante la crisi, le mille difficoltà e la mancanza di un vera e proprio cultura digitale, c’è una parte d’Italia che crede fortemente nello sviluppo, ma soprattutto, guarda al mezzo internet come ad una importante chance per dare forma ad un futuro migliore.

Grazie alla ricerca, alla creatività e alle nuove forme di comunicazione, oggi tutti noi abbiamo gli strumenti adeguati per aiutare il Paese ad uscire da questa situazione d’impasse. Io stesso credo realmente che la tecnologia e la rete saranno le chiavi del nostro rilancio e della nostra futura esistenza. Proprio per questo, desideroso di conoscere una realtà che contribuisce a innovare l’Italia ma che ha radici vicine al nostro territorio, ho rivolto qualche domanda a Luca Tomassini, fondatore, presidente e amministratore delegato del gruppo Vetrya.

Il gruppo Vetrya, che ha sede ad Orvieto, rappresenta una delle eccellenze italiane: è leader globale nello sviluppo di servizi, applicazioni e piattaforme per media digitali. L’universo mobile, i media e le telecomunicazioni costituiscono le principali attività di Vetrya.

Per presentare Luca Tomassini, invece, non basta dire che ha l’innovazione nel Dna. La sua carriera, iniziata con la Sip (oggi Telecom Italia), è sempre stata rivolta verso le grandi sfide della comunicazione. Più volte insignito dei premi nazionali per l’innovazione, Luca Tomassini ha ricoperto diversi incarichi di responsabilità nel gruppo Telecom Italia; fa parte di numerosi Comitati Scientifici, oltre che del Consiglio di amministrazione dell’Università degli Studi di Viterbo, nella quale svolge anche sessioni di docenza su digital new media e telecomunicazioni. Lascio ora spazio all’intervista, ringraziando Luca Tomassini per la sua disponibilità.

Nel contesto sociale ed economico nel quale viviamo in Italia non è affatto semplice riuscire a fare qualcosa di creativo. Il gruppo Vetrya ha ricevuto il ''Premio Nazionale per l’Innovazione 2014''. Qual è la ricetta per innovare nel nostro Paese?

In verità non è la prima volta che riceviamo questo prestigioso riconoscimento. Ne abbiamo ricevuti due anche nel 2013.

Vetrya è stata fondata in una delle estati più calde per l’economia italiana. Quella del 2010, quando la crisi da crack Lehman Brothers era ancora in pieno svolgimento e solo pochi mesi dopo il peggior dato sul PIL italiano del dopoguerra, quel meno 5,1% del 2009. Una congiuntura non proprio per startup. Eppure oggi siamo un testimonial vivente della capacità di fare impresa nei settori nei quali la competizione è spinta al massimo ed è globale: digital, mobile, internet, broadband e televisione.

La nostra ricetta per innovare è una sola: si chiama creatività.

Creatività finalizzata, non basta un’idea ma una buona idea può fare la differenza. Per questo consideriamo la creatività la leva strategica per lo sviluppo. La nostra ricetta? Mettere nella condizione i nostri ragazzi di lavorare in un ambiente piacevole, informale, che possa diventare uno spazio creativo. Non vogliamo costringere i nostri dipendenti in orari ministeriali (biblioteche aperte solo due pomeriggi a settimana e chiuse nei weekend sono opere museali che non aiutano la formazione e lo sviluppo creativo).

Obiettivi chiari, proviamo a far sentire gratificati che il loro lavoro, la loro dedizione può contribuire a cambiare il mondo e a migliorarlo. La creatività è la nuova materia prima.

Bisogna investire nelle persone. Non si nasce, a parte alcuni casi, creativi.

Il profitto scolastico, ambienti stimolanti producono eccellenza e senza queste qualità sarà difficile competere in innovazione.

Il nostro impegno con le scuole (sin dalle medie) vuole essere una sfida e la voglia di lasciare il segno in questa società dare la possibilità nel tempo di generare, attivare un processo innovativo rendendo disponibili nuove tecnologie nuovi metodi scolastici perché l’innovazione non si auto inventa.

Abbiamo bisogno di una scuola, di una società, che formi persone di talento. Creare condizioni che diffondano la creatività in un contesto sociale (per questo ci impegnano nella sponsorizzazione ad esempio di attività teatrali, culturali, perché abbiamo bisogno di una società in cui si metta in gioco una creatività virtuosa)

Solo con una buona base culturale è possibile innescare l’innovazione. Picasso prima di dipingere Les Demoiselles d’Avignon, sapeva comunque dipingere un quadro romantico, l’innovazione non è una valore assoluto ma un processo di maturità che può essere espressa anche da giovani.

Il web, come è noto, non ha geografie precise. Se però dovessimo definire un luogo chiave per il suo sviluppo, senza dubbio si potrebbe indicare la Silicon Valley, un luogo mitico nel quale è arrivata anche Vetrya. Le andrebbe di parlarci di cosa si prova ad avere per vicini Facebook, Google ed Apple?

A giugno di quest’anno, in California a San José abbiamo fondato Vetrya Inc., la società del Gruppo vetrya che si occupa dello sviluppo di servizi, applicazioni mobili e advertising digitale dedicati al mercato consumer. Con Vetrya Inc. ci apprestiamo a lanciare un servizio che farà molto parlare di noi. Anche a San Francisco. Nell’era della Rete credo però che il mito della Silicon Valley sia sopravvalutato. Non è la dimensione geografica a creare la concorrenza ma l’uso delle risorse in rete. Non guardiamo sempre a migliaia di chilometri per trovare esempi di eccellenza. Non facciamo credere ai giovani che un altro mondo è possibile solo lontano da qui. Sempre più la localizzazione sarà una caratteristica che potrebbe perdere valore. Certo è che oggi volendo concorrere in un mercato globale abbiamo dovuto accettarne le regole: il Made in California, nel nostro settore, è ancora un bollino di eccellenza tecnologica un pò come il Made in Italy lo è per la moda, il food e il design. Con la Rete può esserci per i nostri giovani un altro mondo possibile anche in Italia, quell’Italia patria di Leonardo, Galileo, Michelangelo, Marconi e dei più recenti di Faggin (microchip), Chiariglione (mp3) e molti altri che con le loro innovazioni hanno cambiato il mondo.

Dal 1987 in cui ha iniziato la sua carriera con la Sip ad oggi, Luca Tomassini è stato tra i protagonisti dei tanti cambiamenti che abbiamo vissuto, in particolare nel mondo delle telecomunicazioni, telefonia mobile cellulare, internet e negli ultimi anni, nell’ambito della comunicazione attraverso i media. Secondo Lei, il fenomeno del digital divide sta togliendo all’Italia uno strumento per uscire dalla crisi?

Il digital divide non è uno strumento che sta aiutando l’Italia ad uscire dalla crisi. Il digital divide è un fenomeno che sta togliendo opportunità di sviluppo al nostro Paese.

L’evoluzione dei servizi porterà ad accrescere il divario tra chi saprà usarli e chi no. L’analfabetismo digitale creerà divari più evidenti, specialmente nei piccoli centri, anche nei servizi più semplici: sarà impossibile prendere un treno senza sapere fare un biglietto elettronico.

Gli investimenti richiesti sono tecnologici ma non deve essere sottovaluto l’aspetto formativo.

Grazie alla rete e ai nuovi dispositivi, come tablet e smartphone, stanno cambiando le modalità di fruizione dei contenuti. Il presente e il futuro indicano che la strada da seguire è quella di usare piattaforme cloud. Indubbiamente, questi servizi hanno molti vantaggi, ma dopo il caso Snowden e le sue rivelazioni riguardo alla violazione della privacy, possiamo considerare il cloud un posto sicuro?

Abbiamo preso consapevolezza che tutto ha un costo e che niente è gratis: la tessera degli sconti ad un supermercato, la card con cui faccio rifornimento di carburante contengono informazioni sensibili così come la mia casella di posta. Dobbiamo saper scegliere tra i diversi cloud service provider. Alcuni si accontentano di crittografare i dati solo durante i trasferimenti altri garantisco la crittografia anche sui server. Le osservazioni di Snowden a mio avviso sono giuste. Come dargli torto?

Dopo aver rivoluzionato il telefono cellulare, la tecnologia spinge nella direzione dell’abbigliamento con orologi, bracciali e dispositivi indossabili di ogni tipo che abbiano la prerogativa di essere ''smart''. Ci sono le basi per creare una nuova industria di contenuti che arrivi direttamente al nostro polso?

Direi di sì. L’industria ''wearable technology'' e la crescente domanda di mercato, soprattutto quello di salute e fitness, sta crescendo velocemente. Già oggi oltre 60 milioni di americani usano questi sistemi di controllo. Gli Smart Glass, trainati dai Google Glass, sono in pole position nelle intenzioni di acquisto degli utenti, soprattutto in quella fascia d’utenza già esperta e che non si trova di fronte al suo primo acquisto. Anche il recente annuncio di Apple sta creando interessanti aspettative. Il tutto ancora è in fase embrionale e dipenderà da come, nel corso del 2015, si andranno a sviluppare le app.

In questo ambito, l’unico medium a resistere al cambiamento senza troppi patemi è la tv. In una recente intervista, il Ceo di Apple, Tim Cook, ha dichiarato che la tecnologia della televisione è ferma agli anni ’70. Ritiene che la televisione, il mezzo preferito dagli italiani, abbia bisogno di una vera e propria rivoluzione?

Intanto non parliamo di prossima rivoluzione. Il futuro della tv lo stiamo già vivendo. La cross-medialità è una realtà. Siamo solo all’inizio, certamente, ma lo sviluppo della convergenza tra internet e tv sarà molto veloce. Siamo oramai tutti d’accordo che l’evoluzione della tv sta nella convergenza tra televisione, internet e device mobili, come smartphone e tablet. È una vera e propria evoluzione di un mondo che cambia tutto: industria ed ecosistemi televisivi consolidati. L’importante crescita dei device connessi alla rete, come le connect tv, smartphone, tablet e game console configurano una fruizione multi-schermo, che introduce realisticamente il DNA di internet sul classico modello di tv che conosciamo: la tv lineare. Noi italiani siamo un po’ in ritardo diciamo. La chiave di sviluppo della broadband television risiede nella infrastruttura di telecomunicazioni.

Il territorio della Tuscia ha molte potenzialità inespresse. Complice anche la crisi, si stanno cercando iniziative per rilanciare il turismo e l’economia della zona. Secondo la sua opinione, la grande apertura della rete può rappresentare l’opportunità di superare la storica chiusura del viterbese?

Il turismo dovrebbe fare rete in Rete. Ritengo che per far emergere le diversità è necessario fare rete: investimenti in piattaforme tecnologiche insieme ad altre regioni o settori merceologici, senza perdere di vista l’opportunità Expo 2015.





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